- Gregorio -
Lunedì 9 febbraio 2004, appena passata la mezzanotte, è nato Gregorio. Per la verità, doveva nascere il 12 maggio, non era affatto deciso che si chiamasse Gregorio (la lista comprendeva ancora 11 nomi, tra i quali Bernardo e il medievalissimo Orso), e mio marito era talmente sicuro che la situazione fosse sotto controllo che, sbattuto fuori dal reparto, a casa aveva staccato il telefono per dormire. Fino al giorno prima stavo benissimo. Poi erano cominciate le contrazioni, avevano cercato di bloccarle ma niente da fare: un cesareo d’urgenza alla 27ma settimana. Greg pesava un chilo, e meno male: avrebbe dovuto pesare parecchio meno. Per fortuna avevo assecondato le mie fami mostruose e mi ero zavorrata di 16 chili: la mamma di Lucrezia, la bimba in incubatrice di fianco a Greg, aveva ricevuto l’encomio del ginecologo: 6 chili in 6 mesi di gravidanza. Però poi da un momento all’altro è subentrata una gestosi e i medici giù a rimproverarla che avesse mangiato troppo poco. Vai a sapere cosa ti aspetta. Quando ti fanno un cesareo perché il bambino nasce prematuro, ti avvertono prima (di tante altre cose, certo): non sentirai piangere il bambino, dato che non ha la forza per farlo. Poi tu vai nella tua stanzetta del reparto di ostetricia e il bambino in terapia intensiva. Essere di fianco a mamme che hanno fatto normalissimi parti a termine non aiuta. Portano i bimbi per la poppata, e ti chiedono quale è il tuo. Fiumi di parenti che giustamente festeggiano le altre mamme, e tu vorresti solo piangere la tua ansia e non vuoi rovinare una gioia così immensa… (d’altronde si sa, in ospedale è così, non c’è intimità). Secondo me, la sofferenza più intensa è della mamma che non può andare a vedere suo figlio: per alcuni giorni non ti fanno andare (l’operazione, il catetere…), ma nessuno poi ti porta informazioni sul bambino. A parte tuo marito, che tutto quello che può fare è guardare un fagotto dietro un vetro (quando va bene e la tapparella è tirata su) e immaginare che forse sia lui. Non entrando proprio nei dettagli, insomma. Ogni volta che passava una infermiera nel mio campo visivo mi immaginavo che sapesse che Gregorio stava male, o addirittura era morto. Quando me lo avrebbero detto? Passati quei giorni interminabili, sono potuta andare a vedere Gregorio dietro un vetro. Era una roba sconvolgente, rugosissimo e avvizzito, con un ago conficcato sottopelle, nel cranio, e intubato. Anche quando sono potuta andare all’interno del reparto, non potevo avere grandi contatti col mio bambino: in braccio non lo puoi prendere, meno lo muovi meglio è, il massimo è toccarlo con un dito introdotto nel’incubatrice dopo avere lavato le mani con un sapone così potente che dopo 3 giorni sembra di restare senza la pelle. I genitori comunque, credo, sono talmente terrorizzati nel vedere quei robini scheletrici che hanno paura anche a toccarli. La faccio breve, perché tanto spiegare quello che succede è impossibile: Gregorio è uscito dall’ospedale ad aprile. Pesava 1800 grammi, doveva prendere 5 medicine diverse – da alternare nell’arco delle 24 ore – e bisognava fasciarlo su di un fianco come una mummia dopo averlo rannicchiato. Il 9 febbraio 2005 ne pesava quasi 12, sembrava un budda.
E adesso è bello alto, sano come un pesce (incrociamo le dita), senza problemi di alcun tipo.
Ma mi piacerebbe che oggi i genitori di bambini prematuri non dovessero incorrere nella nostre stesse difficoltà.